La terza sezione penale della Corte di Cassazione ha trattato il tema del privato cittadino che per ragioni occasionali è venuto in possesso di dati personali, li ha diffusi e per questo ha subito una condanna in relazione al reato di cui all’art. 615 bis comma 1 e 2 c.p. Sulla questione è intervenuta la Suprema Corte con sentenza 13102 / 2023:
“Questa Suprema Corte ha evidenziato infatti, diversamente da quanto sostenuto in ricorso dalla difesa, che è del tutto infondata la tesi volta ad escludere dal novero dei destinatari della norma punitiva (rappresentata poi dall’art. 167 citato) il privato cittadino che occasionalmente sia venuto in possesso di un dato rilevante appartenente ad altro soggetto, dandogli diffusione indebita. Ad una semplice lettura della norma punitiva, l’incipit “chiunque” già esclude in radice una interpretazione in senso restrittivo riferita ai destinatari: ma, anche a voler ricollegare l’art. 167 all’art. 4, è evidente che, laddove si parla di persona fisica, ci si intende riferire al soggetto privato in sè considerato, e non solo a quello che svolga un compito, per così dire, istituzionale, di depositario della enuta dei dati sensibili e delle loro modalità di utilizzazione all’esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con l’esonerare in modo irragionevole dall’area penale tutti i soggetti privati, così permettendo quella massiccia diffusione di dati personali che il legislatore, invece, tende ad evitare.
Può quindi affermarsi senza tema di smentita che l’assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitri o pericolose intrusioni.
Nè la punibilità in caso di indebita diffusione dei dati può dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione.
Va sottolineato, infine, che il concetto di trattamento va inteso in senso ampio per come già lo afferma il legislatore laddove elenca tutta una serie di condotte sintomatiche, non circoscritto quindi ad una raccolta di dati, ma anche e soprattutto alla diffusione indebita senza il consenso dell’interessato, del dato acquisito, non importa se casualmente o meno.
E’ poi contemplato, sempre nel quadro strutturale della fattispecie, il dolo specifico di “trarre per sé o per altri profitto di recare ad altri un danno “attraverso la descritta condotta di trattamento dei dati. Ed è elemento costitutivo oggettivo la circostanza che dal fatto “derivi un nocumento”.
Dunque del tutto destituita di fondamento è la tesi che vorrebbe escludere la ricorrente, siccome privato “non qualificato”, dal novero dei destinatari della norma, alla luce di un ormai acclarato indirizzo giurisprudenziale sul punto.”
Avv. Nunzio Costa
Responsabile Scientifico Italia Concilia srl